La tecnica di coltivazione convenzionale del cotone
Non facciamoci illusioni: la tecnica di coltivazione convenzionale del cotone non è molto rispettosa dell'ambiente. Questa coltura copre circa il 2,4% della percentuale complessiva di terra coltivata al mondo, ma utilizza il 6% dei pesticidi e il 16% degli insetticidia livello globale. Rispetto alla sicurezza circa l’utilizzo di alcuni di questi principi attivi, alcuni dei quali classificati come particolarmente pericolosi dalla stessa OMS, spesso non ci sono sufficienti certezze.
Il cotone viene raccolto con grandi mietitrici. I suoi principali produttori nel mondo sono India, a seguire Cina e Stati Uniti. L’utilizzo di tecniche di agricoltura industriale alla lunga impoverisce il suolo. Ma il suo utilizzo nell'industria tessile rappresenta un mercato fiorente, da 37 miliardi di dollari all'anno. Queste cifre danno un'idea del notevole impatto che il cotone può avere sul pianeta, per non parlare del suo ruolo a livello economico e sociale.
In aggiunta, è necessario sapere che il cotone convenzionale richiede molto anche dal punto di vista idrico: 5.260 litri* sono necessari per produrre un chilo di cotone (*fonte CNRS). Per darvi un'idea, un paio di jeans di cotone che costano poche decine di euro richiede in media 7.500 litri d'acqua - cioè 50 vasche da bagno piene, per essere prodotto.
Spesso, per tingere il cotone si usano metalli pesanti come il piombo o il cromo. Tornando a quei pantaloni che molti di noi indossano, aggiungiamo che 1 kg di pigmento utilizzato per la tintura di un paio di jeans richiede molto di olio, solventi e 1000 litri di acqua. Una miscela di prodotti chimici tossici necessaria per sbiancare, tingere e rifinire un paio di jeans. Inoltre, c’è anche un problema di delocalizzazione completa delle fasi di produzione. All’interno delle dinamiche dei mercati della moda low-cost, spesso i jeans si fanno decine di migliaia di chilometri in giro per il mondo per essere colorati, lavati, invecchiati nelle differenti aree di produzione distanti migliaia di chilometri l’una dall’altra, prima di arrivare sugli scaffali dei negozi.
Emerge nel complesso un danno ambientale per fiumi, laghi, mari ed interi ecosistemi, come racconta il documentario The RiverBlue: Can Fashion Save the Planet? di Roger Williams e David McIlvride. Girato in Cina, Bangladesh e India, mostra come in tutto il continente asiatico il 70% dei fiumi e dei laghi risulti contaminato dai 11,3 miliardi di litri di acque reflue prodotte dall'industria tessile, all’interno di processi di produzione che perlopiù non sono regolamentati. Come risultato finale sull’essere umano, le popolazioni che vivono nei pressi di questi bacini idrici - approvvigionandosene, soffrono di un'alta incidenza di tumori, problemi gastrici e cutanei.